“Organizzare il sapere per rappresentare il potere: la Grande Galleria di Carlo Emanuele I di Savoia” (Colloquia CLIO, 8 maggio 2025)

L’8 maggio 2025 si è svolto presso l’Università degli Studi di Milano il seminario “Organizzare il sapere per rappresentare il potere: la Grande Galleria di Carlo Emanuele I di Savoia”, ospite Franca Varallo (Università degli Studi di Torino), moderata da Elisa Marazzi e da Alice Raviola (entrambe Università degli Studi di Milano). L’incontro ha concluso la seconda edizione del ciclo di conferenze Colloquia CLIO, progetto del Dipartimento di Studi Storici “Federico Chabod”.

Franca Varallo è docente di Metodologie e storia della critica dell’arte e Museologia e musei del mondo contemporaneo presso l’Università degli Studi di Torino. I suoi ambiti di ricerca riguardano la storia della critica d’arte nel XX secolo, la storia delle riviste d’arte in Italia e gli apparati effimeri e le cerimonie di corte nel XVI secolo, con attenzione al Ducato di Savoia e al Ducato di Milano.

Tema della conferenza la Grande Galleria di Carlo Emanuele I, la sua collezione libraria e la sua decorazione, spazio privato in cui parole, immagini e simboli sono finalizzati alla celebrazione del principe, della sua casata e del suo potere; a questi temi Varallo ha dedicato una mostra nel 2011 e numerose pubblicazioni

A seguito di una breve introduzione da parte di Marazzi, interviene Raviola, la quale sottolinea la relazione tra storia e storia dell’arte che caratterizza il caso di studio della a Grande Galleria, uno strumento tipico dei principi dell’età moderna, soliti ad arricchire le proprie corti con collezioni librarie variegate ed eterogenee.

Successivamente interviene Varallo, riprendendo Raviola: la Grande Galleria non è un’esperienza isolata, ma è parte di un sistema di progetti simili che nascono nella prima parte del XVI secolo e che, in epoca moderna, si sviluppano e mutano, guardandosi e influenzandosi reciprocamente.

Per comprendere le caratteristiche della collezione libraria della Grande Galleria, Varallo cita un estratto di Una guerra perduta. Il libro letterario del Rinascimento e la censura della Chiesa (Bulzoni, 2022) di Amedeo Quondam, in riferimento alla contrapposizione con la tesi di Gigliola Fragnito, espressa in Rinascimento perduto. La letteratura italiana sotto gli occhi dei censori (secoli XV-XVII) (Il Mulino, 2019) riguardante la presunta scomparsa della letteratura di età moderna a seguito delle operazioni censorie messe in atto dalla chiesa di Roma e dall’Inquisizione. Quondam insiste sulla necessità di una revisione dei parametri e delle fonti per la ricerca sulla letteratura moderna, una revisione che implica la ricerca nelle biblioteche: la sopravvivenza anche di pochi esemplari consente alle storiche e agli storici di ricostruire il canone letterario di età moderna.

Varallo sostiene che la tesi di Quondam sia confermata dal patrimonio della Grande Galleria e la necessità di recarsi in biblioteca per verificare la presenza, e dunque la sopravvivenza, dei volumi: nella sua raccolta libraria di quasi quattordicimila unità bibliografiche, la Grande Galleria possiede molti libri messi all’Indice. Questa sua peculiarità suscita l’interesse di personaggi cardine dell’età moderna, come Cristina di Svezia e il cardinale Richelieu. La Grande Galleria e la sua variegata collezione privata sono per Varallo parte di un sistema nel quale tutto deve essere contemplato, un tutto che serve a costruire il potere e il mondo del principe, elementi che questi deve essere in grado di controllare.  

 Varallo mostra come la Grande Galleria sia, fin dalla sua ideazione, costantemente oggetto di rappresentazione; a partire da una pianta della città di Torino di Giovanni Caraca del 1577, illustrante la Grande Galleria, Varallo propone quadri e rappresentazioni della Grande Galleria prodotti nel XVII e XVIII secolo, fino a pochi anni prima del suo abbattimento da parte dei francesi nel 1802: ultima immagine pittorica di cui si dispone è un acquarello di Giuseppe Verani, realizzato nel 1800. Nel 1802 i francesi decidono di abbattere la Grande Galleria, con l’obiettivo di dare maggiore circolarità alla piazza.

Dai progetti di Carlo Emanuele I fino alla distruzione ad inizio XIX secolo la Grande Galleria subisce notevoli trasformazioni: la principale è la modifica del piano inferiore tra gli anni Sessanta e Settanta del Seicento, a seguito di incendi. Durante il regno di Vittorio Amedeo II si decide di spostare i libri della Grande Galleria proprio per prevenire ulteriori possibili danni. Vittorio Amedeo II è anche il responsabile di una nuova organizzazione del sapere, nel quale i libri della Grande Galleria giocano un ruolo fondamentale: vengono distribuiti nelle biblioteche di varie istituzioni sabaude, utilizzando come paradigma di ripartizione il tema che trattavano. Una piccola parte, però, rimane ai Savoia (poi presso la Biblioteca Reale). Questi volumi, insieme ad altri acquistati per l’occasione, rientrano poi nell’ideale progetto di Carlo Alberto di far rivivere l’antica collezione libraria.

Come biblioteca espressione di un mondo regolato da un principe, Varallo accosta la Grande Galleria ad altre realtà analoghe di epoca moderna. Essa condivide elementi con biblioteche quali l’Apostolica Vaticana, le biblioteche francesi di Fontainebleau e del Louvre, la Biblioteca Ambrosiana e la biblioteca del monastero di San Lorenzo all’Escorial, secondo Varallo il principale modello quanto a ricchezza della collezione e ad apparato iconografico, intesi come strumenti per celebrare il potere del sovrano.

La Grande Galleria ha, inoltre, peculiarità proprie. Essa nasce nelle intenzioni di Carlo Emanuele I non come biblioteca, ma come istituzione celebrativa della genealogia della casata dei Savoia, fine esemplificato dalla decorazione: i duchi sabaudi a cavallo. In un autografo di Carlo Emanuele I, Varallo sottolinea il desiderio del duca di controllare questo progetto: questi indica, per i ritratti di ogni suo predecessore. le linee guida che gli artisti incaricati della decorazione, ossia Federico Zuccari e i suoi collaboratori, devono seguire,Quando, però, il progetto di Carlo Emanuele I muta e decide di sostituire i grandi ritratti equestri con scansie per i libri, Zuccari viene licenziato. Tra le finestre della Grande Galleria, quindi, vengono posti armadi per collocare libri, busti, oggetti esotici e strumenti matematici. Le raffigurazioni dei duchi, ora a figura intera, si ricollocano sopra le scansie. L’unico intervento che Zuccari termina è la volta, decorata con il tema delle immagini celesti. Anche il pavimento è decorato, costituito da un mosaico rappresentante pesci marittimi e fluviali. Altri animali sono presenti sulle pareti.

Testimonianza di tutto ciò giunge grazie alle descrizioni di Pompeo Brambilla, presenti nelle relazioni delle feste di matrimonio delle due infante Isabella e Margherita e all’inventario stilato nel 1659 da Giulio Torrino, medico e bibliotecario di corte. Tramite questi testi Varallo mette in rilievo l’importanza dell’antico e dei simboli come strumenti impiegati da Carlo Emanuele I per costruire l’immagine dei sé, tutto ciò mediante uno spazio mai predisposto al pubblico accesso, uno spazio da intendersi come privato, un teatro del mondo per celebrare il duca e i Savoia.

Il testo di Torrino, sottolinea Varallo, è uno strumento fondamentale anche per la conoscenza della collezione libraria: sono elencati i titoli presenti nei credenzoni, il loro ordinamento e la suddivisione in undici classi e tre ulteriori sottoclassi. La disposizione della collezione libraria secondo Varallo richiama il concetto di biblioteca del buon vicinato, una collezione che riflette l’intreccio tra diversi ambiti della conoscenza: la collocazione dei volumi è fondata sulle relazioni alla base del sapere, relazioni di cui il principe, in quanto tale, possiede chiave. L’ordinamento deciso per la collezione libraria propone la ricostruzione di un teatro del sapere che il principe gestisce e governa, dove immagini e parole si compenetrano. In seguito alla morte del duca Carlo Emanuele I, nel 1630, la Grande Galleria non accoglie più nuovi volumi: le ultime edizioni dei volumi presenti risalgono al 1629. Continua però ad essere impiegata come monumento di celebrazione della casata, fino alla distruzione.

All’interno della collezione della Grande Galleria, poi confluiti nella Biblioteca Reale di Torino, sono presenti tre album rappresentanti rispettivamente fiori, uccelli e pesci: gli album sono il riferimento per la realizzazione delle decorazioni parietali e del pavimento a mosaico della Grande Galleria. La maggior parte dei disegni è a grandezza naturale e di qualità considerevole. Di Carlo Emanuele I esiste un ulteriore autografo di liste di animali e fiori da impiegare per la decorazione della Grande Galleria, elenco ripreso da ciò che è rappresentato in questi tre album. Questi testimoniano anche l’interesse nei confronti delle scienze naturali presso la corte torinese, ed in particolare di Carlo Emanuele I, fascinazione che aveva come punto di riferimento Ulisse Aldovrandi.

L’ultima parte del seminario si incentra sugli interventi delle relatrici e del pubblico presente. Raviola sottolinea e riprende alcuni temi trattati dalla docente: il concetto di teatralità, il dibattito tra Quondam e Fragnito, la grafomania di Carlo Emanuele I e il ruolo degli album illustrati come espressione della volontà di conoscenza e dello sfruttamento del territorio.

A seguire tre domande dal pubblico riguardanti la presenza di testi di Aldrovandi nella collezione libraria della Grande Galleria, l’influenza della famiglia Medici (in particolare Francesco I de Medici e il suo studiolo) e l’esperienza del duca Emanuele Filiberto (padre, e predecessore, di Carlo Emanuele I).

Conclude la conferenza l’intervento Marazzi: si ricollega all’esperienza della Grande Galleria sottolineando alcuni punti chiave del discorso di Varallo: il ruolo del catalogo della biblioteca e delle liste stilate dal duca come testimonianza della volontà d’organizzazione del sapere e dei processi mentali dei compilatori, l’organizzazione dei libri secondo il principio del “buon vicinato” per agevolare lo studio e a funzione del libro e della biblioteca come strumenti dell’apparato celebrativo.

Valeria Robecchi